Intervista Chateau d’Ax


chateau«Se funziona, vuol dire che è vecchio». Chissà se Fabio Corsini, direttore generale del mobilificio Chateau d’Ax di Lentate sul Seveso, in provincia di Milano, controllato dai fratelli Antonio e Walter Colombo, si è ispirato allo slogan simbolo della new economy per spiegare la sua strategia di innovazione continua. Quel che è certo è che per il manager milanese, da 15 anni alla guida della società (che ha chiuso il 2008 con un fatturato consolidato di 246 milioni di euro, di cui 160 targati made in Italy), se un prodotto va bene significa che è superato e che quindi va sostituito.

Non le sembra di esagerare?
Non direi. Un salotto Chateau d’Ax ha una vita media di un anno.

E dopo?
O si procede a una revisione, anche radicale, di forme e di colori, o lo si cancella dal catalogo.

Peccato che i comportamenti d’acquisto non seguano questi trend…
È ovvio. Sul fronte cucine si calcola che se ne comprino due, al massimo tre, nell’arco di una vita.

Appunto.
Questo, però, non significa che possiamo fermarci.

Dopo il «fast fashion» è la volta del «fast furnishing», insomma.
Le assicuro che è proprio così: per ideare un salotto ci basta una settimana, 10 giorni al massimo.

Quanto ci vuole perché venga esposto in negozio?
Un mese o poco più.

Tutta questa fretta non va a scapito della qualità?
Assolutamente no. L’azienda si avvale di circa 2 mila fornitori, distribuiti tra Italia, Romania e Cina, e sappiamo chi è in grado di fare che cosa e in quanto tempo. Basta organizzarsi.

E le vostre fabbriche?
Non abbiamo stabilimenti. A cavallo degli anni Novanta i fratelli Colombo hanno deciso di cedere a terzi le unità produttive e di concentrarsi sulla sola commercializzazione.

Nessun capannone, dunque?
A titolo personale i Colombo hanno ancora delle partecipazioni in alcune società di settore italiane come I.D.P., Sofaland e Brianform, ma Chateau d’Ax non produce più nulla.

Perché?
Volevano una struttura snella e flessibile con costi fissi ridotti all’osso

Nessun rimpianto,dunque?
No. Sono 15 anni che in azienda ci sono 99 dipendenti. E poi…

E poi?
Quello che ci interessa è utilizzare le risorse disponibili per sviluppare la rete in franchising.

Quante vetrine avete?
Al momento 237, di cui 140 in Italia. Ma c’è ancora spazio per crescere.

Anche in tempi di crisi?
Guai a fermarsi. Tanto più che la concorrenza non se la passa tanto bene.

A chi si riferisce?
Non faccio nomi. Dico solo che la crisi può offrire delle ottime opportunità. Ma c’è un problema.

Quale?
Le banche hanno stretto i cordoni della borsa e per i nostri franchisee è molto difficile reperire i soldi necessari per finanziare le nuove aperture.

Quanto costa aprire un punto vendita Chateau d’Ax?
L’investimento iniziale oscilla tra i 700-800 mila euro, fino a 1 milione per una superficie media di 1.500-1.800 metri quadrati. Con una particolarità…
Quale?

Non siamo a caccia di nuovi partner. In Italia ne abbiamo 35 e preferiamo che siano loro a gestire le nuove aperture: entro il 30 ottobre ne sono previste altre 10. Poi si vedrà.

E all’estero?
Ci stiamo attrezzando: adesso all’estero realizziamo il 35% del fatturato.

Nel 2008 siete entrati anche nel segmento cucine. Perché?
È il completamento di un percorso iniziato nel 1995, quando facevamo solo divani o poco più. All’epoca si decise che avremmo arredato tutta la casa.

Non manca nulla?
Solo la cameretta, ma il grosso è stato fatto.

Quanto costa una vostra cucina?

Per quella da 3 metri il prezzo di partenza è di 3.500 euro, elettrodomestici esclusi. Abbiamo 45 modelli e più di 300 finiture disponibili e, quel che più conta, sono tutte made in Italy.

Chi le produce?
Abbiamo tre fornitori, tutti italiani, di cui uno molto conosciuto. Niente nomi, però: lo dicono i contratti.

C’è chi pensa che bisogna specializzarsi per avere successo.
Non sono d’accordo. Sono convinto che entro 10 anni, o poco più, in Europa rimarranno cinque o sei grandi operatori in grado di arredare tutta la casa. E noi stiamo lavorando per essere tra questi.

E gli altri?
Chiuderanno o, nel migliore dei casi, verranno assorbiti dai grandi.

Anche per chi opera nella fascia alta del mercato prevede tempi difficili?
Qualcuno resterà, ma dovrà accontentarsi di margini sempre più risicati.

In che senso?
Chi opera nella fascia media ha un ricarico del 4-5%: una miseria, compensata solo dai volumi alti. Nel top di gamma, invece, si guadagna anche il 18-20% sul singolo prodotto. Non sarà più così.

Anche voi siete nel top di gamma?
Con la linea Dax design, a cui hanno lavorato, tra gli altri, Cini Boeri e Michele De Lucchi, tra gli architetti italiani più importanti del panorama internazionale.

Anche Manuela Arcuri e Cristina Chiabotto firmano i vostri mobili. Perché?
È un’operazione di marketing che, sono certo, avrà un esito straordinario.

Di che cosa si tratta in concreto?
Col progetto Casa da sogno abbiamo realizzato cinque interni disegnati da personaggi dello spettacolo come Manuela Arcuri, Cristina Chiabotto, Carlo Conti, Eleonora Daniele e dai consulenti del Billionaire di Flavio Briatore.

Suppongo con il supporto tecnico dei vostri designer.
Certo. Anche se i vip scelti sono stati decisivi nel tracciare la casa dei loro sogni.

In cambio di…
Royalties, pari a quelle degli architetti: tra il 3 e il 5%.

Quanto investite in pubblicità?
Il 10% del fatturato, suddiviso tra stampa e telepromozioni. Siamo il big spender di settore.

La crisi ha messo in ginocchio il comparto arredamento. E voi?
La flessione c’è stata. All’estero abbiamo registrato una caduta media delle vendite del 20%, ma il mercato interno ha tenuto e, anzi, al 30 maggio risultava addirittura in crescita del 15%.

Le vendite sotto costo, però, sono all’ordine del giorno. O no?
Facciamo promozioni aggressive, è vero, ma ce lo possiamo permettere. E poi non ci sono alternative. Bisogna tenersi le quote di mercato e, ancora, approfittarne per strapparle agli altri.

Che cosa pensa delle misure anticrisi varate dal governo?
Per quel che ci riguarda sono pressoché inesistenti. Lo sconto fiscale sull’acquisto dei mobili è legato alla ristrutturazione della casa ed è tarato su cifre basse.

Cioè?
La detrazione Irpef del 20% è possibile solo su una spesa massima di 10 mila euro e, dunque, per una cifra non superiore ai 2 mila euro, spalmata su cinque anni. Poco, anzi pochissimo.

Che cosa andrebbe fatto per far ripartire i consumi?
Bisognerebbe abbassare la soglia del 20% dell’Iva. Il vantaggio sarebbe duplice: aiuterebbe la ripresa e farebbe emergere almeno una parte del mercato sommerso.

Quanto vale il «nero» nel segmento mobili?
Le stime parlano di un 20% su un giro d’affari globale nella sola Italia di 12 miliardi di euro, ma temo siano ottimistiche.

Per quale motivo?
Per gli operatori di taglia medio-piccola è una prassi ordinaria. Prima serviva per arricchirsi, oggi per sopravvivere.

da BLOGONOMY

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